Laboratorio della Terza Voce

Ogni giovedì dalle 20.00 alle 21.20.

Uno spazio di esplorazione collettiva dove la voce diventa territorio di ricerca, trasformazione e relazione. Attraverso pratiche guidate, improvvisazione gruppale, lavoro inviduale e a coppie, esploriamo le sensazioni connesse alla vocalizzazione, scopriamo come farle nostre e come convogliarle nell’espressioe e nella comunicazione, andando oltre le convenzioni del canto, della parola, della abitudini, delle posture. Il corpo vocalizzante è lo strumento di ricerca.

Ogni sessione si sviluppa attraverso un percorso che include:

  • Pratiche di ascolto, presenza corporea, anatomia esperienziale
  • Esplorazioni vocali guidate, individuali e di gruppo
  • Momenti di improvvisazione libera
  • Cerchi di parola

Gli incontri sono aperti a tutt3 e non è necessaria esperienza precedente.

  • Durata: 1 ora e mezza per sessione
  • Abbigliamento comodo consigliato
  • Ingresso al singolo incontro: €15
  • La tessera associativa non è inclusa

Per informazioni e iscrizioni, scrivere a produzione@criv.eu

Il Laboratorio della Terza Voce è un invito a fare esperienza della propria voce e dell’insieme di vocalità di cui è capace come strumenti di relazione con sé stessi e con gli altri, come ponti tra il personale e il collettivo, come abito specifico della percezione, dell’esperienza e della conoscenza del mondo. Il canto, sebbene rientri nei temi del laboratorio, non è al centro della pratica. L’approccio cardine del laboratorio è di stampo somatico (orientato cioè alla voce vissuta dall’interno e non dall’esterno) e gli obiettivi specifici dei singoli incontri ruotano sempre intorno ai temi del cambiamento, dell’apprendimento trasformativo, del riorientamento delle prospettive.

Che cos’è la “terza voce”?

Definizioni

Vocalità consapevoli e in divenire, costituite dalla somma di abitudini, specialità e miti.

Le voci sono le materialità soniche che si originano nei corpi vocalizzanti. Sono legate a un meccanismo fisiologico che produce oscillazioni, alla variazione di pressione generata, e alla percezione in divenire di tale variazione. Una voce appare per sottrazione da tutto ciò che essa può fare: non è canto, né parola, né interiezione, né immagine. Rende tutto ciò possibile dando luogo alle vocalità.

La vocalità si riferisce agli universi vocali costituiti dalle voci. Ogni voce può generarne di molteplici. Nel teatro, la vocalità è l’abito che il cantante veste e solitamente coincide con il ruolo. Nella musica, essa coincide con le tecniche situate nelle pratiche culturali (Growl, Pansori, Jodel, ecc.). Nel quotidiano, coincide metaforicamente con la qualità vocale (voce stridula, voce calda, ecc.). È costituita dalla somma della voce, di una tecnica e una pratica culturale. Ci permette di riconoscerci a vicenda.

La voce quotidiana emerge per imitazione del paesaggio sonoro. Le sue qualità acustiche appaiono in tenera età dall’interazione congruente tra fisiologia e comunicazione: ogni individuo si specializza in una certa vocalità utile alla sopravvivenza sociale. Essa diventa pienamente quotidiana quando non è più sottoposta alla sopravvivenza. Questa vocalità costituisce una specializzazione che risponde a un modello atto a ottimizzare l’intellegibilità.

La voce specializzata deriva dalla necessità di trasformare le caratteristiche intrinseche della voce quotidiana per colmare delle aspettative culturali. Nel contesto dell’arte, può assumere caratteri molto definiti (soprano leggero, basso buffo, strega cattiva, drag queen, ecc.). Nel quotidiano, risponde a principî di riconoscibilità e di efficienza espressiva altrettanto precisi. Il suo carattere definito corrisponde all’imperativo di assolvere a delle funzioni.

La voce mitica (talvolta detta umana, naturale, o anche phoné) è una vocalità che appare per sostituzione: sottraendo una certa specializzazione e una certa familiarità per sommarla con un’altra specializzazione atta a rendere familiare un’altra vocalità. È mitica in quanto legittimazione di una pratica rituale. Emerge dal corpo, dall’inconscio, dal vissuto, dall’estasi, ma non è considerata “naturale” o “umana” fintanto che non diventa familiare.

Se la voce specializzata e quella mitica sono oggetto di formazione in età adulta, la formazione della voce familiare avviene nell’infanzia, finita la quale è tuttavia possibile sostituirla (irreversibilmente) con una nuova voce quotidiana, attraverso la ricerca vocale e la vita.

L’esplorazione vocale è la base di ogni didattica e peda/andragogia vocale, sia che riguardi voci mitiche o specializzate. Coincide con l’istituzione di un tempo di lavoro che affonda nella voce quotidiana.

Lavoro

Il termine Terza voce nasce dall’esplorazione vocale.

La riflessione sulla voce non è andata al centro dell’indagine filosofica prima della metà del Novecento, quando Jackie Derrida usò Husserl per smontare la metafisica della presenza, Lacan usò Freud per cercare il luogo da cui il soggetto prende voce, Barthes usò la critica musicale per spiegarsi cosa ama nelle voci, e Deleuze usò Bene per rimescolare le carte.

Seguendo l’immaginario di Caterina Piccione, possiamo collocare ognuno di questi autori e le loro teorie della voce in una immagine: Derrida in piedi sulle macerie delle scienze umanistiche; Lacan intento in una seduta psicoanalitica; Barthes nel suo studio che ascolta un disco di Lieder; Carmelo Bene come King Kong in cima alla torre degli Asinelli (mentre Deleuze applaude e Zanzotto ride). E dove collocare la Terza voce?

La Terza voce è quella di un soggetto in formazione. Se Barthes e Lacan sono in studio, Derrida è in strada e Bene è in scena, la Terza voce è in sala. Una palestra ideale dove si fa emergere una vocalità che è inabituale. Eccone l’immagine.

Ciò con cui entra in contatto il soggetto in formazione, ciò con cui facciamo i conti quando ci poniamo l’obiettivo di lavorare su/per/con la voce, è la trasformazione. Questa passa attraverso una graduale definizione e una progressiva abolizione del familiare.

In sala impariamo a percepire diversamente i suoni che produciamo. Scopriamo come ottenerli in altro modo e come non dovremmo emetterli; cosa si può evitare, cosa sviluppare e cosa non va toccato. Facciamo esperienza diretta di nuove sensazioni di risonanza. Inoltre, veniamo in contatto con nuove modalità espressive, quotidiane o artistiche. La sala è il luogo ideale, spesso effettivo, di tali esperienze trasformative.

Luogo ideale perché è il laboratorio di esplorazione vocale da cui si muovono tutte le didattiche vocali. Non è un sito fisico o un ambiente di apprendimento, può seguire metodologie molto diverse, su piccola o grande scala. Non è l’architettura dove ha luogo il lavoro vocale: possiamo attivare questo laboratorio in qualunque luogo. Piuttosto che uno spazio, è un tempo: La sala denomina l’istituzione di un lavoro di esplorazione e definizione vocale.

Insieme agli elementi biologici e materiali, anche aspetti effimeri e insostanziali concorrono alla definizione del lavoro vocale. Nozioni, esperienze e azioni agiscono direttamente e in uguale misura sulla carne del corpo: in questo senso parliamo di trasformatività.

Istituire un tempo di lavoro vocale apre un percorso che attraversa la percezione, l’esperienza e la coscienza, facendo sì che la terza trasformi la prima modificando la seconda. Sia che poniamo l’accento sull’esperienza della percezione (il corpo vissuto), o sulla creazione consapevole (l’immaginazione), la coscienza altera la percezione trasformandone l’esperienza. Il processo trasforma la coscienza, istituendo un circolo.

Questo circolo, o trasformazione in atto, può avere effetti indelebili sul comportamento vocale. Possiamo cioè pensare la ricerca e la formazione vocale come lo spunto didattico offerto da questo circolo, che sia virtuoso o vizioso. Con coloro che modulano senza consapevolezza la propria voce, il lavoro potrà consistere nella destituzione di circoli viziosi; altresì, una voce consapevole potrebbe entrare in un circolo virtuoso di benessere psicofisico.

Il comportamento vocale, quando si intraprende un percorso di scoperta e autoanalisi delle proprie vocalità, subisce delle scosse, tende a modificarsi nel tempo, divenendo prima frammentario e poi maggiormente stabile. Questo accompagna la scoperta di sensazioni che alterano l’auto-percezione nel tempo. Se gli esiti sono salutari, questa riuscita è l’obiettivo di ogni buona peda/andragogia vocale.

Un tale laboratorio di esplorazione vocale potenzialmente permanente, la sala ideale, differisce dai luoghi preposti alla formazione. La sala è il contesto della trasformazione che è l’oggetto della formazione vocale. Trasformatività come gli esiti di un lavoro vocale potenzialmente permanente, una “presa di coscienza” progressiva delle proprie vocalità. La trasformazione in atto è l’implicito del lavoro in sala, è la ricerca vocale, è la Terza voce.

Mitopoiesi

Mito, umanità e natura hanno a che fare con la cultura.

Così come esistono diversi tipi di specializzazione, esistono diversi tipi di mitologia. Non c’è una senza l’altra. Si può comprendere la voce mitica solo in relazione alla specializzazione.

La “voce umana” di Alfred Wolfsohn è un esempio fondativo. Essa è l’oggetto di una tradizione che contrappone all’idea di soprano, contralto, tenore o basso l’immagine di un soldato ferito che grida di dolore. Rappresenta quel suono capace di presentare tutte le sfumature emotive e spirituali del soggetto. Sebbene si presenti come un antidoto alla classificazione, è sensibile di classificazione e specializzazione, in quanto emerge da una sinergia tra libertà e disciplina.

La “voce naturale” di Kristin Linklater può essere compresa in relazione alla voce umana. Se quella si è fatta carico di cercare nella vocalizzazione le radici dell’espressione pre-simbolica, la “liberazione del naturale” si pone due ulteriori obiettivi: da una parte fornire strumenti utili per entrare in contatto con tale “umanità” (in autonomia), dall’altra di promuovere un approccio fisiologicamente informato (ottimizzato) ad essa. Anche la voce naturale è una vocalità contemporaneamente mitica e specializzata.

La vocalità pre-linguistica è il loro motore. Mentre la voce umana “guarda” al grido e la voce naturale “ascolta” il corpo, la dimensione pre-linguistica è dove “toccano” entrambe la materia di base: il vagito, il pianto. Tali sonorità collassano nelle sensazioni che presentano oppure incontrano una composizione di tecniche atta a generarle. Ci muoviamo perciò sullo spettro tra presentazione e rappresentazione che è l’oggetto, o la via della formazione.

Tipicamente, le offerte formative che ruotano intorno a questi miti chiamano questo oggetto di studio la “voce”. In verità, l’oggetto di studio è senza eccezioni la vocalità, o le vocalità, e le loro applicazioni espressive, comunicative, o sensoriali.

Storicamente, questa vocalità è contrapposta al logos e si identifica spesso nella phoné, che risulta cioè dalla sottrazione del linguaggio. La vocalità pre-linguistica è una voce mitica che richiede specializzazione nel farla affiorare naturalmente.

Infine, si dà una vocalità che fa pienamente sua la dimensione mitica del rito. È il caso dell’estasi, nella quale la ricerca di un gesto vocale originario viene messa al centro di una vocalità che indaga il limite: glossolalie, ululati, blabla, lamentazioni. Tutti questi atti vocali hanno una cosa in comune: la ricerca dell’emergenza. Non si pongono in relazione con la specialistica in maniera manifesta, ma latente, segreta, carbonara. È la specializzazione nel non-specialistico: una forma di resistenza altrettanto specializzata.

Mentre la voce umana e la voce naturale arrivano da davanti (la voce che voglio ottenere, ovvero la saturazione del soggetto), la voce estatica è tutta rivolta indietro, alla sublimazione dell’ignoto, alla magia che “lega” (Martinelli), a una risposta sonora all’esigenza iniziale di evacuare il soggetto. Se l’umano in voce è un naturale grido di dolore, l’estasi in voce è il melos di Carmelo Bene.

Riprendendo Derrida, se l’umano e il naturale in voce appartengono all’avvenire (arrivano da davanti, sono prevedibili), l’estasi appartiene al futuro (arriva da dietro, non vista). Se queste tre tipologie di voce mitica hanno tutte a che fare con la presentazione, solo la voce estatica si pone l’obiettivo di rappresentare.

L’estasi vuole generare la rappresentazione di un’immagine che trascende la voce che l’ha generata. Tale ricerca rappresenta una utopia atta a portare la vocalità in contatto con la voce che la sostiene, con l’obiettivo di metterla in crisi. Apre alla possibilità di usare la vocalità per fare cose che normalmente non farebbe.

Nell’offerta formativa internazionale sulla voce, la ricerca di queste voci mitiche rappresenta una fetta di mercato. Questa cela un paradigma e una propaganda che crea gerarchie tra materialità soniche diverse che hanno però tutte lo stesso statuto di vocalità.